LA CULTURA DEL RISPETTO
In reciproco dono
Il Premio “Diritti Umani consegnato da “Semplicemente Donna” a Castiglion Fiorentino al Teatro Mario Spina, lo scorso novembre 2019, è andato stavolta all’afghana Suraya Pakzad. Donna dal bellissimo volto ed intenso, ha trascorso un’esistenza molto difficile capace tuttavia di fortificarla, tanto che ella dirige “Voice of Women Organization” movimento femminile per rivendicare i diritti delle donne, nato nel regime post-talebano. Con grande dolcezza – ma anche fermezza – di fronte alle scolaresche racconta che la fierezza è un valore fondamentale, da crederci intensamente, portandolo sempre avanti.
“La mia è una famiglia numerosa con molti, molti fratelli e madri diverse, però mio padre mi ha fatto studiare e di questo ne sono estremamente orgogliosa, insegnandomi la parità che dovrebbe regnare tra uomo e donna, anche se è un traguardo difficile da raggiungere specie nelle zone da cui provengo. Quanto alla politica sono del parere dell’importanza dei leader che purtroppo nel mio paese non operano bene. Dopo la guerra, con l’arrivo dei talebani nel 1998, che presero il potere di tutto, tutto assolutamente, vietata la scolarizzazione ed io, di nascosto – Suraya è laureata in lettere all’Università di Kabul e le piace osservare che le poesie arricchiscono i pensieri – rischiando non poco, tenevo lezioni private. Questo facendo turni, chiedendo aiuto anche alle mie amiche, in un distretto di Kabul, rischiando prigione e minacce di morte. Eppure proseguivo, e qui, in questo clima bellissimo dove i ragazzi entrano coi loro zaini, è piacevole vederli interessati, applicati agli studi.”
Tosta e scomoda, la splendida Suraya Executive Director di “Voice of Women Organization”, che si è dovuta sposare a 14 anni divenendo poi madre di sei figli. Alla domanda di come è riuscita a convertire la paura in coraggio, risponde che nel clima belligerante ove la tensione si tagliava con un dito, vi erano molte, molte vedove anche abusate e violentate, ed aiutarle era severamente proibito. Considerate delle recluse, non potevano lavorare fuori casa contando solamente sui matrimoni combinati. Praticamente una vita di vera privazione, con quel regime talebano in cui la tensione era palpabile alle stelle a seguito delle minacce degli estremisti. Ma lei è una donna che non si piega, denunciando di conseguenza alle Nazioni Unite, soprusi ed abusi inflitti a chi era vietato ribellarsi, e perciò ricevendo il premio “Women of Courage” del dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ed ancora il “Malali Medal” dal presidente dell’Afghanistan .
Riconosciuta da ‘Time’ una delle 100 persone più influenti del mondo, in Germania ha ricevuto “The Female Leader of the Year Award.” Anche se lontano. eppur vivissimo, il ricordo di lei bambina dodicenne che vide uccidere la propria preside in quanto priva del velo; un fatto che scatenò l’ossessione di aiutare deboli e chi subiva conflitti. Finalmente nel 2001 Voice of Women Organization, costola apolitica ed apartitica, riesce a dare una buona promozione socio-economica a ragazze e donne, mentre Suraya per motivi logistici, ne trasferisce la sede ad Herat al fine di garantire loro condizioni migliori tramite protezione legale e sociale, con promozione della legislazione sui diritti umani. Questo con adeguati servizi sanitari, attente guide d’emancipazione sociale. Il tutto unito a gruppi di formazione professionale per l’empowent economico. Evidentemente volere è potere. Un buon lavoro di squadra operato con il supporto di 234 dipendenti, in 29 province afghane. Seguono strutture protette, consulenze familiari, legali e psicologiche, inserimento lavorativo, asilo per i piccoli, nonostante la violenza domestica sia altissima.
“Sradicare simile mentalità è molto, molto difficile. Fondamentale pertanto puntare sull’indipendenza economica, basilare per studiare e pagare le tasse nonostante in molti paesi la libertà è ancora negata, tanto che per l’abitazione comune, vige il concetto di proprietà maschile, nel mentre la donna contribuisce alle spese di casa! Dire arretratezza pertanto è estremamente riduttivo.”
Tuttavia, tra “vecchio, passato e presente”, oltre 3000 donne hanno avuto accesso a corsi di alfabetizzazione, formazione professionale e “life skills”, con figure femminili che scrutano il futuro dell’Afghanistan visto che varie di loro sono entrate in politica, nel parlamento, partecipando alla società civile.
“Finalmente escono, accedono all’Università con dottorati di ricerca, godendo anche di attività commerciali. Ma c’è ancora molto da fare – prosegue la signora Pakzad – in quanto i nostri rifugi accolgono chi non vuol più subire violenze fisiche e morali, tanto che troppe, veramente troppe di loro, finiscono in carcere per abbandono del tetto coniugale, adulterio, uxoricidio, disubbidienza verso matrimoni combinati.
La sua è una vita più di spine che rose, quando rievoca l’essersi sposata nella condizione di sposa-bimba a quattordici, quanto ad oggi racconta che, anche se non ci sono più i talebani, continua a regnare troppa discriminazione, terrore, efferatezza, visto gli oltre 100 casi di auto-immolazione, nonché suicidi – facendosi ardere vive -, oppure ingerendo acido. E, se il marito muore, vengono ridotte in povertà e condannate socialmente subendo stupri da padri e cognati, in quanto considerate delle povere derelitte.
L’ospedale ‘Istiqlab ‘di Kabul finanziato dalla Cooperazione Italiana, ha un reparto riservato alla ustioni, ma la maggior parte di loro muore o resta sfigurata, complice la famiglia stessa che imputa la disgrazia ad errori domestici. Quanto alla Costituzione, esiste ma potrebbe essere decisamente migliore visto che i propositi del governo Karzai sono rimasti disattesi causa la pressione talebana, facendo divenire i diritti femminili una sorta di compromesso per la pace. Questo ha sollevato l’indignazione unanime della comunità internazionale, nonché delle varie organizzazioni femminili, facendo fare retromarcia a Karzai.
Poiché le battaglie avvengono anche senza muscoli.
Alla fine arrivano parole che pesano come macigni, contraddistinte tuttavia da messaggi leggeri colmi di speranza.
“Per mio figlio ventenne. Già, doveva essere qui con me mentre ricevevo questo premio, ma non è arrivato il visto per l’Italia. Precedentemente è stato rapito e torturato – si sa chi sono ma non possono scontare la pena in quanto supportati dalla polizia – per vendetta cercando di fermarmi – . Ha subito violenza fisica e morale, in India è stato poi operato e adesso, fortunatamente sta meglio, si, – sorride illuminandosi – si sta riprendendo. Innegabilmente sono al corrente del rischio che corro…non pensavo un giorno di diventare attivista e di ricevere premi internazionali, però l’uguaglianza è un nostro diritto, ed io lotto e lotterò sempre, consapevole del fatto che 30 anni fa nel mio paese, la situazione era decisamente migliore. Ma non mi piego. E, se sono qui, è proprio per parlarvi di questo.”
Carla Cavicchini
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