MARIO NIGRO:

                                     Spazi, cromatismi, rarefazione

                Veramente un buon parterre di relatori per Mario Nigro “ Gli spazi del colore – The spaces of colour “ a fronte della stima per questo grande toscano – ex farmacista –  della seconda parte del Novecento.

Alla Fondazione Ragghianti di Lucca, nel complesso monumentale di San Micheletto, capace di continuare a rappresentare il vivo orgoglio della città dalle ‘mille mura’, l’artista che  nel 1964  espose alla Biennale di Venezia  è stato accolto in sala con una sorta di ovazione, testimonianza della grande risonanza europea ed italiana – semplicemente straordinaria – dei suoi lavori di fama internazionale. Un ringraziamento va alla Cassa di Risparmio di Lucca che, come consuetudine, supporta e sostiene l’arte della Ragghianti, mentre rimane utile ricordare che questi lavori dopo essere stati a Sassonia, al Gugheinaim di Venezia ed ancora in giro per il mondo, approderanno  anche in Svizzera al fervido Festival di Locarno.

 “E’ inutile ignorare i grandi contatti con i direttori europei – è stato sottolineato durante il corso della tavola rotonda – soprattutto in virtù del fatto che Nigro è stato un grande inventore di immagini dal forte impegno civile, nonché  persona ‘aperta’  e non certamente relagata nella sua torre d’avorio.

Di questo ‘grande ‘ Mario sono venute poi fuori le sue missive a Ragghianti, menzionando più tardi il suo astrattismo altamente significante,  quale dialogo nei confronti della scena  artistica internazionale. “Un giusto omaggio pertanto a queste opere in occasione del centenario di Mario Nigro e dei suoi successi in ogni parte del mondo, in quanto l’esposizione,  notevolmente  composita, trasporta un modo di comunicare notevole –  osservava la storica d’arte Francesca Pola    – in una moltitudine di colori declinate dalle  varie fasi della vita, che entrano sottilmente  nella psicologia umana.”

Viene pertanto fuori un’attenta ricerca estetica   che rimanda  alla  mostra del 1948 a Livorno, con successive attività culturali dopo la seconda guerra mondiale, sino agli esordi nella città della ‘Madunina’,   invitato dall’estroso Lucio Fontana.

Eccoci adesso arrivati al momento di questa importante retrospettiva antologica del pistoiese del 1917, morto poi a Livorno nel 1992. Il suo è un astrattismo di costituzione dai molti pigmenti,  portato tuttavia nella sua decisa fermezza,  verso scenari nuovi  alla ricerca  continua di nuove emozioni. Questo  mantenendo orgogliosamente i  suoi principi di aderenza dai forti risvolti sociali, nel mentre ‘aleggia’ la sua  grande vena poetica decretandolo intimista puro.

 E’ veramente una bella esposizione quella che abbiamo difronte,  che durerà sino al sette gennaio 2018, con tanto di disegni preparatori finora mai esposti.  Veniamo trasportati  dagli albori degli anni ’50, la cui ispirazione porta inevitabilmente a Mondrian e Kandiskij, ammirando le  celebri textures di “fughe prospettiche”, intrecci  e reticolati vari che denunciano tensioni  e griglie così presenti nel suo modo d’operare, pronte tuttavia ad essere spezzate. Non manca il ‘plastico’ in queste installazioni, in cui è intuibile  ciò che sorgerà più tardi.  Il terremoto del’Irpina sta soprattutto nella nostra testa,  mentre il pensiero  anticipa  i tempi ancor più delle ‘Sibille’.

  Dopo  è tutto uno scardinare di spazi, spazi totali nella sua crescita teorica. Omaggia la  ‘sua’ Toscana anche con “L’Orma dell’Etrusco” – pacificazione – mentre le righe (!), più corretto dire linee,  rappresentano i vari volti della storia. Passa il tempo e accresce  la ‘Solitudine’, pertanto si affacciano  testimonianze dai forti cupi mefistofelici; un  linguaggio di ribellione nei confronti di quell’immobilismo farcito di grande ottusità. Questo  nei confronti della ‘fatwa’ di Khomeyni contro lo scrittore iranico Rushdie che dette vita a quei memorabili “Versetti satanici”.

Ritmo, musica, cromatismi portano in un hinterland vibrazionale ove cubi minimalisti si affacciano verso la razionalità dei vari linguaggi poiché è giusto dare spazio ad ogni cosa.  Alla fine del ’40 subentra il geometrismo mentre Gillo Dorfles lo osserva scrutandone l’alta genialità.

Gli anni passano, cambiano, e noi con loro. La meditazione è parte della nostra vita e quindi il colore si affievolisce sino ad arrivare ad una sorta di rarefazione che corrisponde adesso al nuovo essere ‘Nigro’.

 

Carla Cavicchini

cavicchini.press@gmail.com    

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *